Dichiarazioni. Evangeliche?

Ho ricevuto in gradito omaggio l’opera Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1997-2017, II a cura di P. Bolognesi (Bologna, Dehoniane 2017), pp. 470. Il volume, ben scritto, ben stampato, ben rilegato costituisce la seconda parte di un analogo precedente contributo. Vi si riuniscono in traduzione italiana, con brevissime introduzioni, i documenti redatti da vari corpi ecclesiastici evangelici di orientamento ‘conservatore’. L’esigenza è sacrosanta: cercare di dare voce unica, e pertanto più incisiva, a una galassia di denominazioni, istituti, opere, ministeri di una varietà tale in confronto alla quale la classificazione degli degli esseri viventi del naturalista Linneo impallidirebbe. Ma ciò che rende più arduo il còmpito deve rendere il lettore più indulgente di fronte a eventuali vaghezze, ambiguità, talvolta anche assurdità dei ‘dichiaranti’ che pur si riscontrano.

Così concepita l’opera è una sorta di arca di Noè dove fianco a fianco viaggiano bestie pure e bestie impure. Ma ciò non ci sorprende; non è dei protestanti avere una Ecclesia mater et magistra e, ove mai si tentasse di mettere in piedi un surrogato di questa, i risultati sarebbero ben prevedibilmente discutibili. Invitiamo tuttavia il lettore a valutare il bicchiere mezzo pieno e, a dire il vero, di acqua fresca e salutare ve n’è tanta!

L’impegno di città del Capo del 2010 (pp. 159-239), ad esempio, è testo ampio e articolato che segue i documenti di Losanna (1974) e Manila (1989) e prospetta una confessione / dichiarazione bilanciata, condivisibile e condivisa da una piattaforma molto ampia. Talvolta vi sono documenti su temi specifici, come quello che smaschera con evangelica franchezza il triste mito del “vangelo della prosperità” (pp. 410-417), i rapporti con l’ebraismo a più riprese definiti tra amore per chi proviene dall’epopea veterotestamentaria e necessità di convertirli a Cristo, i rapporti con la chiesa cattolico romana che patiscono una secolare dicotomia tra paesi di cultura protestante (dove sono più ‘ecumenici’) e quelli a maggioranza cattolica (dove sono improntate a diffidenza). In generale sono equilibrate e ispiratrici le raccomandazioni all’azione sociale che non scadono nella politica politicante ma fanno emergere lo specifico dell’impegno cristiano (ciò che nella tradizione wesleyana si direbbe la “santità sociale”): vanno tenute presenti specialmente qui in Italia dove un matrimonio tra una denominazione evangelica e uno dei ‘partiti’ locali sortirebbe effetti tragicomici, in considerazione dei livelli infimi raggiunti della nostra politica politicante.

Talvolta le dichiarazioni sono generiche. Sorprende e induce al sorriso una ricorrente maniera di esprimersi “siamo lieti di…”, “siamo dispiaciuti di…” dove la terza persona plurale sembra un bonsai del pluralis maiestatis di papale memoria e il riferimento alla gioia o al disappunto sembra spostare il focus non sulla cosa in sé ma sullo stato d’animo personale degli estensori. Generica e ambigua, ad esempio, è la dichiarazione di Insieme per l’evangelo. Affermazioni e negazioni del 2006 dove (p. 84) a proposito del ruolo della donna prima si dice che è biblicamente diverso da quello maschile ma poi si aggiunge che tale distinzione «non esclude le donne da un ministero significativo nel regno di Cristo»: che vuole dire “ministero significativo”? Se non si è d’accordo sul pastorato femminile basta dirlo chiaramente e… amici più di prima.

In cauda venenum. Sì, v’è un documento che andrebbe decisamente espunto dal corpus delle ‘dichiarazioni’. È la Dichiarazione di Londra. Una visione per l’unità biblica nella Chiesa moderna (2000). Un’autentica malevola lacerazione del corpo di Cristo che è la chiesa. In realtà si tratta di un manifesto di calvinisti pervasi da livore per chi come loro non la pensa e che, pertanto, gettano scomuniche su questi ultimi così da far sembrare il Pio IX del Sillabo del 1964 un dilettante in materia di intolleranza e settarismo. In poche righe sono riusciti ad accumulare una quantità di contraddizioni da record dei primati: sono per la totale inerranza e sufficienza della Bibbia citando i Trentanve articoli di religione (anglicana) e non si accorgono che lì si parla di sufficienza ai fini della salvezza ma non di totale inerranza[1]; sono contrari alla ‘tradizione’ della chiesa cattolico romana, ma poi si proclamano ‘agostiniani’ per sostenere la predestinazione; accusano di settarismo la stessa chiesa, poiché essa condanna chi dissente, ma poi loro stessi lanciano tuoni e fulmini su evangelici con loro non allineati. E lo fanno in modo orribile condannando, senza possibilità di appello sia i seguaci di K. Barth sia gli arminiani (e qui ci mettiamo mezzo mondo evangelico inclusi metodisti, esercito della salvezza, chiese di santità, pentecostali, etc.). A dire il vero la condanna è ancora più roboante “per ogni forma di pentecostalismo e dispensazionalismo”, condanna reiterata poche righe dopo anche! Gli estensori di questo lacrimevole documento dimostrano una naturale loro incapacità di distinguere tra temi fondanti e dottrine sulle quali non v’è unanimità a motivo del loro essere complesse. I dissenzienti sono sic et simpliciter rubricati come prede “dell’errore e dell’eresia stessa”. Il testo si conclude con una (minacciosa) dichiarazione secondo la quale (il loro) Cristo avrebbe delle “pretese… sugli affari pubblici… della nazione, del mondo”. Noi, evangelici che non sottoscriveremmo il documento, ci auguriamo che il buon Dio non ascolti queste preci… è ancòra vivo il nostro istinto di sopravvivenza.

In conclusione. Ci si avvicini al bel volume con desiderio di apprendere e spirito di riconoscenza verso i tanti che l’hanno prodotto e verso chi ha confezionato la sua veste nella nostra lingua, ma non si rinunci a un sano spirito di “libero esame”, stando attenti a chi vuol far passare per ‘evangeliche’ dichiarazioni di una singola fazione. Lunga e felice vita agli estensori della Dichiarazione di Londra, ma altrettanto anche a coloro che essi aspramente condannano. Non chiudo citando la Bibbia, sarebbe troppo onore, bensì il verso dell’amabile poesiola della nostra infanzia, La vispa Teresa, laddove la farfalla che rischia di essere schiacciata reclama la sua libertà dicendo “Anch’io sono figlia di Dio”; sì cari membri dell’Alleanza Riformata Mondiale estensori della Dichiarazione, anche noi non calvinisti siamo “figli di Dio”, per strano che possa sembrarvi: “vivendo volando che male ti fò?”.

Giancarlo Rinaldi

[1] «La Sacra Scrittura contiene tutte le cose necessarie alla salvezza: cosicché tutto ciò che né in essa si legge, né può per essa provarsi, non debba esigersi che sia da alcuno creduto come articolo di Fede, né deve essere reputato come richiesto di necessità alla salvezza». Come dimostro in uno studio di imminente pubblicazione il concetto di inerranza letterale della Bibbia in ogni materia (biologia, geologia, medicina, etc.) entra nelle confessioni di fede evangeliche (ma non tutte) successivamente, a sèguito dell’influenza del fondamentalismo americano degli anni ’20 del secolo scorso.

 

Questa voce è stata pubblicata in Protestantesimo in Italia. Contrassegna il permalink.

2 risposte a Dichiarazioni. Evangeliche?

  1. paolo brancè scrive:

    Grazie Giancarlo per la tua chiara disapprovazione di certe confessioni di fede, come d’altra parte tutte le confessioni di fede, che esprimono una chiara concettualizzazione di una particolare comprensione della Bibbia. Francamente, io diffido e, parecchio delle Confessioni di fede. Mi spiego meglio: la Confessione di fede è una razionale elaborazione di concetti che una persona, un gruppo o una chiesa esercita sul messaggio biblico. Dunque, le confessioni di fede non è Parola di Dio e quindi, discutibile, opinabile, e anche criticabile. Entrando in merito al problema che hai sollevato, evidenziando che nel testo curato da Bolognesi, vi siano lacune e contraddizioni, previlegiando un determinato orientamento teologico(tu citi la Confessione di Londra, che andrò a leggerla), posso arguire che le Confessioni sono solo articoli di fede che devono aiutare i credenti a capire razionalmente alcuni temi fondamentali espressi dalla Scrittura. Il cercare di fossilizzarsi nella comprensione calvinista della scrittura, o in quella dispensazionalista, o barthiana o liberale non rendono onore al messaggio fondamentale della Scrittura. E’ necessario, stendere una Confessione di fede che faccia giustizia ai principi fondamentali della fede che la Scrittura evidenzia, cercando di eliminare parole come infallibilità, predestinazione, millennarismo, parole umane che lo Spirito rende parole di Dio, perchè in questi casi subentra una ideologia della fede e i credenti che vengono orientati da questo sistema concettuale assumono categorie bibliche spurie e sovrastrutturali. La confessione di fede è uno scritto umano e resta tale, non vincolando l’azione di salvezza di Dio, che rimane misteriosa e non afferrabile, a una assioma molto simile ai sistemi algebrici.

  2. Giuseppe scrive:

    Interessante. Se mi posso permettere, in merito al “ministero femminile”, credo si intenda un qualunque ministero che non sia ovviamente quello pastorale. La diaconia e tutti i ministeri correlati all’assistenza e alla gestione della comunità locale, credo possano essere attribuiti ad una donna senza contraddire il diviento biblico.

Rispondi a paolo brancè Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.