Nel risveglio del XVIII secolo l’arminianesimo evangelico di John e Charles Wesley fu una specifica alternativa alla dilagante corrente calvinista. Sebbene predicassero fedelmente e con fervore il vangelo a tutti, la maggior parte dei calvinisti riteneva che coloro che rispondevano positivamente facevano parte degli eletti, predestinati da Dio alla salvezza; al contrario, coloro che non accettavano il Vangelo erano quelli predestinati alla dannazione. In questo modo la salvezza era solo per grazia, perché chiaramente gli esseri umani non avevano alcun ruolo in quel che poteva dirsi l’esito della predicazione.
C’erano calvinisti moderati che cercavano di ammorbidire queste affermazioni teologiche. E per un certo tempo J. Wesley cercò di trovare una via di mezzo. Egli ipotizzava: forse Dio ha predestinato alcuni alla salvezza, mentre gli altri sono stati salvati o meno, secondo la loro risposta. Ma all’inizio del Risveglio i Wesley decisero di rifiutare completamente la dottrina della predestinazione. L’universalità della grazia che è proclamata è espressa in questo inno leggermente modificato di C. Wesley: “Vieni, peccatore, alla festa evangelica; che ogni anima sia ospite di Gesù. E che nessuno si faccia da parte, perché Dio offre a tutti gli uomini” (Innario Metodista unito, n° 339).
Ci sono tre aspetti di questa grazia universale che sono stati cruciali per J. Wesley. Il primo è che la grazia non è irresistibile. L’irresistibilità della grazia era al centro della pretesa calvinista della predestinazione. Per Wesley, questa dottrina era lesiva della capacità di agire propria dell’uomo la quale era invece essenziale affinché l’uomo fosse restituito all’immagine di Dio. La grazia irresistibile – disse Wesley – cambierebbe quella che è la nostra “intima natura“ ….l’uomo non sarebbe più uomo… Non sarebbe più un agente morale, non più di quanto lo sia il sole o il vento; come non sarebbe più dotato di libertà….” (La diffusione generale del Vangelo, 9, in The Works of John Wesley, vol. 2 [Abingdon, 1985], pp. 488-89).
Nel dire che la grazia non è irresistibile, Wesley non diceva che noi possiamo scegliere di non avere affatto la grazia. La grazia preveniente è universale, e il suo effetto è quello di ripristinare la nostra capacità di risposta (la nostra “libertà”). Quest’opera di grazia è irresistibile, ma il suo scopo è quello di restituirci un grado di libertà morale che il peccato originale ci aveva tolto.
Il secondo aspetto della grazia universale ha a che fare con la natura della salvezza. Il fulcro della predestinazione è il nostro destino eterno, ciò che accade dopo la morte. Certamente Wesley condivideva questa preoccupazione, ma il suo interesse era incentrato sulla salvezza in questa vita. Per Wesley, la salvezza “…..non è qualcosa di lontano: È una realtà presente; una benedizione di cui, per la libera misericordia di Dio, ora siete in possesso” (La via della salvezza della Scrittura, I.1, in Opere, vol. 2, p. 156).
Così la salvezza include l’opera della grazia preveniente, ma si concentra sulla giustificazione (perdono) e sulla santificazione (rinnovamento nell’amore). Lo scopo è, attraverso l’opera benevola dello Spirito, di crescere nella santificazione finché Dio non ci perfeziona nell’amore, e noi portiamo ancora una volta l’immagine di Dio, ora e per tutta l’eternità.
Mentre la predestinazione calvinista è stata una delle più influenti dottrine ai tempi di Wesley, la salvezza universale (cioè l’idea che tutti indistintamente pervengano a salvezza) è un’opinione comune nella nostra epoca. La teologia di Wesley è fortemente opposta all’universalismo come lo è al calvinismo. Sia l’universalismo che il calvinismo presuppongono una grazia irresistibile, entrambi minimizzano l’azione umana, ed entrambi si concentrano sulla salvezza nella vita a venire piuttosto che nel presente. Al contrario, Wesley insiste sia sull’agenzia divina che umana, con l’iniziativa della grazia divina che ripristina la libertà umana. Per Wesley la salvezza è presente e futura, e ha nel suo cuore il nostro essere infine restituiti all’immagine di un Dio che ama liberamente.
Questo ci porta al terzo aspetto della grazia universale. L’affermazione di Wesley che l’attributo prevalente di Dio è l’amore. Poiché i calvinisti volevano insistere sul fatto che la salvezza è solo per grazia, essi enfatizzavano la sovranità di Dio. Pur non negando la sovranità di Dio o la salvezza solo per grazia, Wesley ha insistito che Dio è amore. Questo a sua volta richiedeva che la grazia fosse universale. E se la salvezza consiste, in ultima analisi, nel fatto che l’umanità viene restituita all’immagine di Dio, allora la grazia deve operare in maniera di accrescere la capacità umana di amare liberamente come fa Dio. È questa visione dell’amore di Dio, così fortemente manifestata sulla croce attraverso Gesù Cristo, che è al centro della teologia della grazia e della salvezza di Wesley.
Henry H. Knight III
Il dr. Henry H. Knight III è docente di Wesleyan Studies alla Saint Paul School of Theology (USA). Nella sua ampia bibliografia: From Aldersgate to Azusa Street: Wesleyan, Holiness, and Pentecostal Visions of the New Creation (Wipf and Stock, 2010) e A Future for Truth: Evangelical Theology in a Postmodern World (Abingdon, 1997).
N.B.: La presente traduzione dall’inglese è offerta per esclusivo scopo didattico di studoo e di edificazione, lungi da ogni finalità commerciale.