Giorni or sono ebbi modo di riflettere in merito a un’iniziativa editoriale delle Bee Edizioni che si presenta benemerita per la scelta dell’autore e per l’opportunità di dargli oggi voce in lingua italiana. Si tratta della Institutio theologiae elencticae di Francesco Turrettini, un esponente di primo piano della cosiddetta Scolastica calvinista così fiorente nel Seicento. Il personaggio scrisse a Ginevra esprimendosi in lingua latina: era un rappresentante del nobile gruppo di esuli italiani religionis causa. L’opera del Turrettini, molto vasta; è messa in cantiere in venti volumetti. Curatore dell’impresa è Pietro Bolognesi, instancabile diffusore del verbo neocalvinista dovunque possibile, con epicentro a Padova presso l’IFED dove insegna Teologia sistematica e promuove con zelo e passione mille altre encomiabili attività tra le quali un’autorevole attenzione teologica verso l’Alleanza Evangelica Italiana.
Le mie riflessioni riguardavano il secondo volume, dedicato alle Scritture. Ebbi allora a dire del titolo dell’opera, così come reso in italiano, e della scarsa chiarezza con cui si diceva “chi fa che cosa” in merito a traduzione e testo sul quale questa si basava. Un mio gentile interlocutore mi scrisse che le mie perplessità sarebbero state sciolte dalla lettura del primo volume dove avrei trovato le risposte desiderate.
Così ora ho tra le mani il primo volume e mi permetto di ritornare su questi temi in piena sintonia sia con il già espresso spirito encomiastico per l’iniziativa editoriale sia con l’appello del curatore, Bolognesi, il quale a p. 13 palesa la sua gratitudine “per qualunque suggerimento utile”.
Qualcuno tra i miei lettori mi accusò di essere stato troppo severo. In realtà l’attenzione con la quale ho valutato quelle pagine era determinata da una presentazione editoriale addirittura panegiristica sia del ‘gigante’ Turrettini che della sua opera collocata non all’ombra della Scrittura, bensì “accanto alla Bibbia”. Se ne trae la sensazione che prima e dopo questa Institutio non vi siano mai stati testi all’altezza di dir qualcosa di buono e di vero al devoto lettore. L’opera è presentata come “cibo solido” quasi implicando che chi non ne condivida gli assunti si alimenti esclusivamente di “cibi liquidi”. Viene poi detto che il Turrettini è stato dimenticato perché “troppo ingombrante dal punto di vista confessionale”, un’affermazione – tra l’altro – poco riconoscente alla validissima scuola di storici della Riforma in Italia che annovera tra i suoi esponenti accademici quali Cantimori, Firpo, Pellegrini, Simoncelli, Prosperi, etc. Forse proprio in considerazione di questa esaltazione del personaggio sarebbe stato il caso di far precedere il testo da una rievocazione biografica la quale è invece telegraficamente ristretta in affermazioni che, per chi appena conosce la vicenda del Turrettini, potrebbero anche suonare ironiche se non risibili: costui avrebbe sempre avuto cara l’interazione con gli altri in un dialogo permanente con altri autori. Si pensi, invece, che al T. si deve la norma secondo la quale a Ginevra, dopo che era stato approvato il suo indirizzo teologico, era vietata persino la discussione sui temi che si ritenevano già definiti! Un regolamento, questo, che fu immediatamente abrogato dal suo ben più sereno successore (e figlio) il quale liberò la cittadinanza dalla greve cappa paterna. Il che non sorprende laddove si rileva che a proposito della nota quaestio, che qui è la IV, sulla sorte post mortem di chi è vissuto prima di Cristo o da lui lontano, l’autore la risolve senza mezzi termini con una condanna inappellabile per tutti costoro.
Il titolo. Nel mio intervento proponevo di ravvisare in elencticus un calco tardo latino dal greco ἐλεγκτικός / ἔλεγχος il cui significato primario è ‘confutatorio’, ‘confutazione’ laddove in greco l’idea di persuasività si esprime ricorrendo alla famiglia lessicale di πείθω. Nella letteratura teologico filosofica esiste un intero genere di trattazioni – dimostrazioni dette ‘elenctiche’, sono quelle finalizzate alla confutazione della tesi opposta la quale, anche se la si ammettesse, implicherebbe la dimostrazione della propria. Il titolo, come osservai, non era nuovo nella letteratura cristiana basterà citare l’eloquente esempio della Confutazione (ἔλεγχος) delle eresie dello Pseudo Ippolito! Turrettini vuol confutare cattolici, rimostranti e socianiani così come lo Pseudo Ippolito di età severiana intese confutare la teologia monarchiana del suo avversario Callisto. D’altro canto sarebbe bastato leggere il frontespizio delle edizioni latine citate per accorgersi che la categoria prevalente nel titolo è quella della controversia perspicue; oppure dare ascolto al citato prof. Scott Clark il quale correttamente inserisce l’opera nella letteratura teologica polemica. Ma il curatore non fornisce ragioni della sua scelta.
Chi ha tradotto? Non è detto con chiarezza. Si potrebbe ipotizzare che sia farina del sacco del Bolognesi il quale si presenta come ‘curatore’ del lavoro e ringrazia (p. 13) la prof. G. Bertoldi per l’insostituibile aiuto ricevuto. D’altro canto una certa rilevante quantità di errori nel greco indurrebbe a pensare ad altri ma non a un docente di quella teologia sistematica che si basa e si evince in primis su un’accurata lettura del Nuovo Testamento direttamente nel testo greco. Probabilmente dobbiamo attribuire la scarsa chiarezza sull’esplicitaziozione del traduttore a un atteggiamento di umiltà dello stesso che ha svolto il suo lavoro con encomiabile spirito di dedizione e servizio, insomma con tanta buona volontà non però pari alla competenza nelle lingue classiche.
Migliorie da apportare. Ecco una scelta essenziale di errori e approssimazioni che potrebbero essere utili per una seconda edizione che mi auguro avvenga anche con coinvolgimento di veri addetti ai lavori; mi permetto questo breve elenco perché nel libro è detto che l’autore usa la lingua greca con grande “familiarità e padronanza” e che tale uso ‘colora’ il testo.
Lingua greca: pag. 19, r. 20 leggasi αὐτολεξεὶ al posto di αὐτολεξὲι; p. 20, r. 9 leggasi ὁμοούσιος al posto di ομοουσίος; p. 21, r. 31 leggasi ἡ al posto di ή; p. 22, r. 3 leggasi οἰκονομία al posto di οικονομία; p. 22, r. 5 leggasi θεολογεῖν Ἰησοῦν al posto di θεολογειν Ιησουν; p. 23, r. 15 leggasi ἐπιστητῶν ἐπιστητότατον al posto di επιστητῶν επιστητότατον; p. 24, r. 1 leggasi ἀποδεικτική al posto di αποδεικτική; p. 29, r. 19 leggasi ἐννοίαι al posto di εννοιαι; p. 53, r. 7 leggasi πρακτά al posto di πρακτὰ; p. 53, r. leggasi ποιητά al posto di ποιητὰ; p. 54, r. 29 leggasi ἐπιστήμην al posto di επιστημην; p. 59, r. 25 leggasi θεωρητός al posto di θεωρητὸς; p. 59, r. 25 leggasi πρακτός al posto di πρακτὸς; p. 63, r. 13 leggasi ὀρθοδοξία al posto di ὀροθοδοξία; p. 73, r. 32 leggasi ἀσύστατοι al posto di ἀσύστάτοι; p. 91, r. 13 leggasi ὁμοούσιον al posto di ομούσιον; p. 92, r. 14 leggasi λογισμοί al posto di λογισμοὶ; p. 93, r. 9 leggasi ἀκαταληψία al posto di ἀκαταλεφία; p. 110, r. 3 leggasi θεμέλιος al posto di θεμελίος; p. 114, r. 30 leggasi κατασκευή al posto di κατασκεὴν; p. 117, r. 11 leggasi ἀναλογὶαν al posto di ἀναλογίαν; p. 119, r. 32 leggasi θεόπνευστος θεοπνεύστος.
Traduzioni migliorabili: p. 26 r. 6 va tradotto «quel che si può conoscere di Dio» non «conoscenza di Dio»; p. 39 uno stesso vocabolo che qui ricorre tre volte (γνωστόν) è tradotto due volte erroneamente «la conoscenza»; una volta bene «ciò che si può conoscere»; p. 58 si concordi l’aggettivo con il sostantivo a cui si riferisce e pertanto si traduca ‘teoretica’ al posto di ‘teoretico’; p. 88: ὁμοούσιον si traduca non «l’unica sostanza» ma, come alla p. 20 «consustanziale», cfr. anche p. 91; p. 111: si cancelli «per i» davanti a τελείοις: trattasi di un dativo plurale come già due volte nel rigo precedente; συλλήβδην è da tradursi «nel complesso» e non «insieme». A proposito di lingua greca sorprende che l’editore immediatamente dopo la traduzione del Turrettini pubblicizzi encomiandola una sua Grammatica greca: mi auguro che le vendite di questo prodotto vadano incontro a un rilevante successo.
Lingua latina: non ho avuto né tempo né volontà di controllare la resa in latino. In generale devo dire che la traduzione mi sembra scorrevole. Alcune pochissime osservazioni: ho la certezza che il traduttore non conosca la corretta declinazione del termine quaestio che pure nel libro riveste tanta importanza: a p. 13 c’è il genitivo questionis, scritto all’italiana senza dittongo; a p. 123 non si usa quaestiones al plurale (come assolutamente vorrebbe il chiaro contesto) bensì la forma singolare quaestio; lo stesso madornale errore nell’indice alla p. 129 («indice delle quaestio» invece che «delle quaestiones»).
Titoli degli scritti degli autori citati: panorama piuttosto avvilente poiché questi convivono fianco a fianco ora in latino ora in italiano (pp. 21,22,91,104). P. 31: Cicerone non scrisse un’opera dal titolo La natura divina bensì il De natura deorum. P. 46: Giustino non scrisse Le apologetiche bensì la Prima e la Seconda apologia. P. 59: il titolo dell’opera di Lattanzio è citato metà in italiano, metà in latino: trattasi invece delle Divinae institutiones; Alla p. 107 lo stesso titolo è riportato metà in latino e metà in inglese: Divine Institutes; probabilmente ci si è avvalsi non del testo latino ma di una sua traduzione in inglese. P. 90 si riporti De locis e non De loci poiché il complemento d’argomento introdotto dal de esige l’ablativo. P. 127: nel titolo della notissima collana di testi patristici del Migne troviamo l’accusativo completos laddove il soggetto cursus è chiaramente singolare quindi si scriva completus come, tra l’altro, è nel frontespizio dell’opera. L’errore è due volte reiterato. Degli autori citati forse il più bistrattato è Clemente Alessandrino la cui opera è citata ora come Stromata (p. 21), ora come Stromati (p. 25), ora come Gli stromati (p. 46, 102,104).
A mo’ di conclusione. Non entro nel merito teologico dell’opera: so bene che per i miei amici ‘turrettiniani’ la teologia del magister è l’unica possibile e chi dissente può, anzi deve, accomodarsi in partibus infidelium. Mi è troppo cara la loro amicizia per rischiare di perderla. La Institutio rimane un capolavoro per l’età che fu sua, così pregevole da meritare ampiamente una traduzione italiana. Tuttavia ce ne corre da qui a presentare l’opera come la parola ultima e definitiva, il cardine e il fondamento del moderno pensiero teologico che vuol essere fedele alle Scritture. Trattasi, invece, di una delle tante teologie sistematiche; è esposta secondo un ductus letterario proprio della letteratura tardo antica (la letteratura zetematica) e, quindi, medioevale; approdata alla Scolastica calvinista. Dalla lettura un po’ pesante, a dire il vero, e gravata da circonlocuzioni.
Dunque, mentre ci si congratula ancòra con l’editore e il curatore, sorge spontaneo il rilievo: e se prima di tuffarci in un’impresa siffatta tra noi evangelici provassimo un po’ a collaborare mettendo a frutto le diverse risorse in campo? Aprire un cantiere del genere (ben venti volumi!) senza gli strumenti elementari necessari (intendo le lingue classiche) è temerario oltre che, probabilmente, offensivo verso il buon Turrettini. Se presentiamo il pensiero turrettiniano come “cibo solido” per il credente, perché allora condire tale con una salsa di risibile quanto pernicioso polistirolo? Lui vietò che si discutesse di teologia esprimendosi diversamente da come aveva sentenziato; ma noi abbiamo trasgredito e ci siamo avvalsi del più bel dono di Dio: la libertà di amarLo e di discutere della Sua Parola. Possiamo farlo: l’integralismo dell’epoca di Beza, Farel, Turrettini e Zanchi ci è alle spalle.
Giancarlo Rinaldi