Ricordare il pastore, il fratello Remo Cristallo significa per me fare un viaggio della mia memoria non esitando a ripercorrere quei momenti che furono aurorali per la mia conversione al Vangelo e, nello stesso tempo, ripercorrere il trascorrere impietoso degli anni fino a pochi anni or sono quando Dio volle chiamare a Sé il Suo servitore.
Remo ebbe a sperimentare sia la fede che la sfida della sua diffusione in quella periferia della mia, della nostra Napoli troppo spesso – ahinoi – menzionata nel contesto di fatti di cronaca connessi con la delinquenza e la violenza. Noi diremo, con maggior proprietà di linguaggio e attingendo dalle Scritture, connessi con la naturale condizione di peccato che è proprio dell’individuo umano. Nei primi tempi della mia conversione solevo la sera frequentare i culti della comunità di Napoli (allora via Malaterra); la mattina spesso e volentieri, avvalendomi di un comodo bus che partiva da piazza Dante, raggiungevo Secondigliano dove una vivace e popolosa comunità pentecostale si riuniva per ascoltare la predicazione di Pasquale De Martino. Predicazione semplice, anzi semplicissima, di un testimone della fede che dal vivo rappresentava il dramma della sua vita riscattata dal Vangelo. Predicazione anche potente poiché vi si palpava l’elemento della sincerità che è ingrediente principe per muovere le anime di chi ascolta a quella fiducia che è prodroma della fede.
Remo proveniva da quella trincea di fede, da quella Secondigliano dove il massimo del male e il massimo del bene ogni giorno si sfidavano. Non v’era spazio per un esser tiepidi: o militanti o niente, in guerra bisogna armarsi e mai demordere. Credo che curando i giovani di quella comunità, di quel quartiere, Remo abbia alimentato il suo carattere di soldato della fede, di evangelista.
Dopo non pochi anni, avendo compiuti i miei studi liceali e universitari, m’incontrai con Remo mentre io ero responsabile del gruppo ‘Gedeoni’ di Napoli e lui accarezzava il suo sogno di una grande missione ad Aversa. Aveva un sorriso contagioso, una determinazione esemplare, una disponibilità sincera e pronta. Mi chiese alcune copie del Nuovo Testamento, e non poche. Mi fu impossibile dirgli di no. In sèguito, a più riprese e nel corso di conversazioni sia private che pubbliche, con un velo di commozione nella voce mi confessò che quelle copie furono le prime ‘munizioni’ che usò per combattere la sua santa guerra ad Aversa. Il ringraziamento a Dio si fondeva e si confondeva con la gioia di una sintonia amichevole e fraterna che lui sapeva da me ricambiata toto corde.
Poi fu la volta della grande passione di Remo per la TV. Ricordo lo studio a Monteforte Irpino in locali resi fruibili dalla Tavola Valdese. Esperienza benedetta! Voglia Dio che i fratelli valdesi aprano i loro spazi a chi è consumato dal fuoco della Pentecoste! Remo aveva ben chiara la necessità di una formazione permanente per coloro che si erano convertiti. In ciò fu un esemplare pioniere in terra pentecostale italiana. Ricordo le mie molteplici registrazioni fatte lì, a Monteforte, di fronte a un pubblico attento e rispettoso, davanti alle telecamere che lui faceva predisporre. Si parlò degli Atti degli Apostoli dell’Apocalisse di Giovanni; io ebbi modo di svolgere questo insegnamento contestualizzandolo con la storia e l’archeologia dell’epoca. A merito sia di Remo che dei suoi collaboratori va detto che tutte queste registrazioni sono state debitamente conservate e ora sono fruibili presso il sito internet di Teleoltre o anche su You Tube.
Così ricordo le visite successive nello spazioso edificio di Aversa, una vera concentrazione di uffici, attività editoriali, educative, culto, etc. Remo aveva la capacità di guardare sempre al futuro e nelle cose che diceva palesava l’entusiasmo di un bambino insieme alla saggezza di chi è avanti negli anni. Era nato per progettare e costruire. Parlandogli avevi la sensazione di non trovarti di fronte a un fanatico, bensì a un individuo dotato prima di tutto di umano equilibrio e di profonda serenità. Questi aspetti temperamentali (e mi fa piacere ritenere che siano stati doni di Dio) hanno a mio avviso costituito la piattaforma su cui si è poi plasmata la sua costruzione missionaria.
“Nuova Pentecoste” è certamente la più eloquente etichetta che possa attagliarsi a Remo e all’Opera che Dio volle affidargli. Pentecoste perché la fede non si limitava a un’accettazione emotiva della dottrina evangelica ma proseguiva in un percorso di santificazione che conduceva a bruciare l’uomo vecchio a purificare il cuore del credente prima ancòra che a conferire potenza nel ministero. Nuova perché la vita cristiana non è mai ripetizione di stereotipi, sia pur ammirabili, è bensì avanzamento di una missione che è da compiersi prima in sé stessi, poi verso chi ci circonda, poi anche più lontano, molto più lontano.
Con riconoscenza a Dio Remo mi dettagliava sui suoi viaggi missionari in Romania, in Africa in Canada… e sempre ancòra l’entusiasmo lo trasfigurava a tal segno da farlo apparire veggente.
Mi fermo qui, sono molti e molto dolci i ricordi che mi legano a Remo.
Se dovessi riassumere in una sola immagine la parabola della sua vita di Servo di Dio direi che fu quella di una formica: una singola persona che riesce a trasportare un peso enormemente più grande del suo corpo e che tale opera svolge in previsione dei tempi che verranno, anche tempi di carestia (spirituale). Ci siamo! L’opera della Nuova Pentecoste è qui a parlarci di Remo e di come Iddio abbia voluto servirsi di lui per formare una squadra di collaboratori (ora successori) esemplari.
Consentitemi di citare Proverbi 6,6: “Vai pigro alla formica e considera il suo operare”. Proprio così: l’esempio di Remo continua a parlare a un evangelismo che sovente stenta a sognare, a progettare, a guardare oltre la siepe. Siamo tutti un po’ pigri, quindi, e tutti invitati a emulare Remo, come Remo imitò l’esempio evangelico.
Giancarlo Rinaldi