Infallibile, sì ma come?
Nel protestantesimo italiano, che è modesto quanto a numeri ma diversificato quanto a posizioni, non v’è mai stata una riflessione matura, consapevole e fruttuosa su un tema importantissimo come l’autorità delle Scritture. Si fa eccezione per quanto avvenne tra i valdesi dove, già a far data dai primi anni ’40 s’avviò per impulso di Giovanni Miegge una riflessione sulla teologia di Karl Barth che comportò un’entusiastica adesione alle sue tesi da parte di corpo pastorale e della Facoltà. La Bibbia, in particolare, era sì “parola di Dio” ma sempre in relazione alla sua lettura di fede e obbediente. Insomma era una reciproca relazione che caratterizzava il testo rendendolo veicolo del pensiero di Dio dipanatosi nella storia. Quanto ai metodisti, intendo quelli post 1975 confluiti con l’intesa nel più cospicuo corpo valdese, credo che costoro di quest’ultimo abbiano acquisito, insieme ad ogni altra cosa, anche questa particolare ricezione dell’autorità biblica. Chi osserva le cose dal di fuori (e i valdo metodisti di suocere ce ne hanno non poche!) demonizza inoltre loro il metodo storico critico ravvisandovi la matrice d’ogni perversione esegetica. Sbagliato! Questo metodo, se ben maneggiato, non solo è utile ma è indispensabile per comprendere la Bibbia, se solo si pensa che ‘critico’ non significa ‘criticare’ (cioè parlar male) bensì “formulare affermazioni” e che, inoltre, la Bibbia è nata nella storia e dalla storia – indispensabilmente – ci parla ancòra.
In ambiente italiano evangelico non ‘storico’, noi diremmo ‘conservatore’ o, con anglicismo alquanto cacofonico, ‘evangelicale’, una matura riflessione sull’autorità e, pertanto, l’ispirazione della Bibbia non mi sembra sia ancòra avvenuta. Ci si limita a recepire passivamente quanto proviene d’oltreoceano; e prova ne è che i commentari biblici editi dalle case editrici evangeliche ‘conservatrici’ sono nella quasi totalità traduzioni dall’inglese. Colpa certo non degli editori, ma di noi ‘credenti’ che non esprimiamo un maturo pensiero esegetico.
Questo rimandare il problema di un serio dibattito sulla Bibbia mi sembra simile all’azione di un costruttore che s’affretta a definire le parti architettoniche secondarie del suo edificio ma che non si sia ancòra curato del consolidare le sue fondamenta.
Certo non desidero, e neanche avrei la capacità, di risolvere il problema. Pertanto mi sforzerò, così come posso, di esporne i dati affidando a chi mi legge il còmpito di vagliare la mia visione e quindi di procedere a una scelta personale.
Sorvolando a volo d’uccello la storia del pensiero cristiano in riferimento al nostro tema, emergono in àmbito protestante due diverse scuole di pensiero:
- La Scrittura è un insieme di libri da Dio ispirati al fine di proclamare salvezza al peccatore e santificazione al credente; essa costituisce l’autorità suprema in materia di fede e di condotta, è pienamente sufficiente per il suo proposito salvifico talché niente che le sia estraneo può essere imposto come materia di fede né, d’altro canto, si può imporre una credenza che con essa non sia in armonia. In tal senso la Bibbia può dirsi infallibile.
- La Scrittura è tutto quanto sopra esposto, ma anche di più: essa è inerrante non solo per il suo messaggio religioso ma anche in ogni sia pur minuto particolare che riguardi àmbiti diversi (come, ad esempio, scienza, astronomia, giurisprudenza, storia, geometria, etc.). Solitamente si suole aggiungere che tale inerranza afferisce ai suoi originali manoscritti, cioè, come si dice in gergo filologico, agli ‘autografi’[1].
Da un punto di vista storico la prima posizione è quella che troviamo attestata nella Bibbia stessa e nei primi secoli del pensiero cristiano (età ‘patristica’), così anche nel pensiero dei grandi riformatori del Cinquecento (Lutero, Calvino, etc.). La Bibbia rivendica solennemente l’autorità dei suoi oracoli e delle sue pagine ma sempre si riferisce agli aspetti strettamente connessi al loro scopo, che è religioso, mai ponendosi il problema di un’inerranza in altri àmbiti che, tra l’altro, sono ben distanti dagli interessi anche degli scrittori. Si prenda ad esempio il testo classico di 2 Timoteo 3,16: «Ogni Scrittura (πᾶσα γραφὴ) è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona». Chi ha una sia pur elementare conoscenza della lingua greca, nella quale fu scritto il nostro testo, è in grado di comprenderne il significato autentico, non proiettando nel testo stesso le proprie (pre)comprensioni. L’autore afferma che quanto è scritto viene ispirato da Dio (θεόπνευστος), ed è pertanto ‘utile’ (ὠφέλιμος), cioè efficace per lo scopo sùbito ben specificato: l’educazione (παιδεία) dell’uomo dal punto di vista della sua condotta (morale) della sua ‘giustizia’, cioè giustificazione agli occhi di Dio, e ciò al fine di concretizzare necessariamente questa sua interiore acquisizione con la realizzazione di opere buone. Questa lettura viene confermata anche dal fatto che γραφή non è preceduto da articolo così da consentirci di tradurre un po’ liberamente, ma fedelmente: le cose che sono state scritte, ispirate da Dio, sono da ritenersi utili per la salute spirituale del lettore. Lungi, dunque, dall’autore ogni preoccupazione di inerranza testuale in discipline non inerenti lo scopo specifico di Dio, anzi sembra proprio che la sua preoccupazione di elencare, ed anche piuttosto accuratamente, gli esiti dell’ammaestramento scritturistico possa valere per noi anche come antidoto al fine di non maneggiare la Bibbia alla stregua di un manuale inerrante su qualsivoglia disciplina.
Passiamo ad esaminare la seconda posizione, quella dell’inerranza totale. Ci domandiamo: quando la sua formulazione fece capolino nella storia del pensiero cristiano? Dobbiamo prendere in considerazione la controversia che negli Stati Uniti d’America sorse tra ‘modernisti’ ‘liberali’ e ‘fondamentalisti’. Il primi due termini, piuttosto generici e imprecisi, indicano una varietà di atteggiamenti teologici che aveva condotto pensatori e pastori delle chiese ‘storiche’ a relativizzare o anche a negare i cardini della confessione di fede cristiana. Insomma un’ulteriore ondata di razionalismo che reinterpretando affermazioni di fede antiche le svuotava del loro semplice autentico contenuto. Contro questa ondata sorse il movimento ‘fondamentalista’ il quale produsse una serie di pubblicazioni dette Foundamentals (1910-1915) da cui derivò il nome. In realtà esso era anche ricettivo di una teologia che il Princeton Seminary era andato modulando sin dal secolo precedente, sotto la guida del suo rettore Charles Hodge. Il focus di questa battaglia era, appunto, la Scrittura e l’esatta definizione della sua autorità e infallibilità. Si reagì alla riduzione della Bibbia a documento storico datato e relativizzato enfatizzandone a tal punto il carattere ispirato da pervenire alla convinzione di una sua inerranza totale su ogni materia. Su questo tema ritornò nel 1976 il prof. Harlold Linsell del Fuller Theological Seminary con il suo The Battle for the Bible impegnandosi al massimo a favore della causa dell’inerranza totale della Bibbia.
La logica sottesa dagli ‘inerrantisti’, in realtà, deriva da alcuni teologi appartenenti alla corrente della della “Scolastica calvinista”. Con questa espressione s’intende un movimento di pensiero che nel Seicento s’impegnò a definire l’eredità teologica di Giovanni Calvino assestandolo in un sistema coerente di pensiero, insomma producendo una “teologia sistematica”. Le posizioni del maestro ginevrino, come sempre avviene in questi casi, ne uscirono radicalizzate e ciò, anche, al fine di creare un baluardo difensivo contro la formidabile azione della Controriforma cattolica: se quest’ultima esaltava il magistero papale presentandolo come la ipsissima vox Christi era necessario, per i calvinisti, contrapporre un corpus normativo altrettanto se non più cogente. Si distinse tra tali pensatori un tal Francesco Turrettini (1623-1687), appartenente ad una di quelle famiglie simpatizzanti della Riforma che erano fugite dalle maglie italiane dell’inquisizione cattolica cercando rifugio nei paesi protestanti, nel nostro caso a Ginevra. Questi esuli religionis causa erano uomini dotti sotto ogni rispetto, imbevuti di cultura umanistica e di entusiasmi rinascimentali, padroneggiavano il latino e ben s’intendevano di quella filosofia di tradizione aristotelica che nell’Università di Padova aveva il suo centro propulsore.
In realtà alla persuasione dell’inerranza totale della Bibbia si perveniva, da parte loro, in virtù di un sillogismo di tipo aristotelico, d’un ragionamento, cioè, che da due premesse faceva discendere una conclusione. Si affermava: 1. Dio non può assolutamente mentire; 2. La Bibbia è parola di Dio; 3. La Bibbia non può incorrere in errore assolutamente, cioè in ogni sua affermazione e su ogni tema.
Questo ragionamento, paradossalmente, potrebbe attagliarsi bene al Corano, così come recepito dagli islamici. Per costoro, infatti, il libro è il prodotto di una dettatura di Dio, insomma di un processo nel quale lo strumento umano è passivo. Al contrario per il cristiano la Bibbia è un prodotto ‘teandrico’: in esso ravvisiamo la parola di Dio, certamente, ma anche quella degli uomini che hanno materialmente vergato le pagine; la componente umana è indispensabile altrimenti noi, che uomini siamo, non potremmo comprendere.
I sostenitori dell’infallibilità del messaggio religioso delle Scritture, dal canto loro, rilevano che nessuno mai ha recepito il messaggio di Dio (e se ne è lascito trasformare) in virtù di un sillogismo che premetteva la veridicità di Dio e ne faceva scaturire la verità delle sacre pagine. Al contrario sta di fatto che è dalla lettura della Bibbia che si perviene al riconoscimento della scaturigine divina del suo messaggio. Dio parla al nostro cuore, non ci persuade con la cogenza della logica sillogistica.
Non sta a me decidere per conto di chi mi legge quale delle due tesi debba essere accettata. Mi limito a rilevare che nel campo delle denominazioni cristiane di stampo evangelico l’una e l’altra tesi, di fatto, hanno diritto di cittadinanza. Rilevo anche che la prima formulazione (ispirazione per lo scopo specifico che è religioso) fa sentire a suo agio anche coloro che credono nell’inerranza totale mentre la seconda formulazione (inerranza in ogni materia a cui si accenna) crea disagio per tanti altri che pure amano la Scrittura e vi si sottomettono.
Bene ha fatto l’Alleanza Evangelica, sia mondiale che quella di moltissime nazioni, ad optare per la prima formulazione, limitandosi a riconoscere autorevolezza e sufficienza della Bibbia senza specificarne l’inerranza in materia di scienze naturali etc. Il testo dell’articolo di fede specifico dell’Evangelical Alliance nella sua classica formulazione del 1867, infatti, si limita a riconoscere The Divine inspiration, authority, and sufficiency of the Holy Scriptures.
È il caso di ricordare anche il testo dell’Evangelical Alliance of Great Britain la quale riconosce The divine inspiration and supreme authority of the Old and New Testament Scriptures, which are the written Word of God – fully trustworthy for faith and conduct. Dello stesso tenore la professione di fede dell’Evangelica di Francia: Nous croyons à la divine inspiration et à l’autorité souveraine des Saintes Écritures, constituées des soixante-six livres de l’Ancien et du Nouveau Testament, qui sont la Parole de Dieu […]. E poi specifica che “Le caractère normatif de la Bible. Elle est la référence de la foi évangélique. Elle est considérée normative à la fois sur le plan théologique et pratique”. Così anche il credo dell’Alleanza Evangelica sia di Germania ch d’Austria: Die Bibel, bestehend aus den Schriften des Alten und Neuen Testaments, ist Offenbarung des dreieinen Gottes. Sie ist von Gottes Geist eingegeben, zuverlässig und höchste Autorität in allen Fragen des Glaubens und der Lebensführung. (Traduzione: La Bibbia, composta dalle scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, è la rivelazione del Dio trinitario. Essa è ispirata dallo Spirito di Dio, autorità affidabile e suprema in tutte le questioni di fede e di condotta della vita). Quanto poi all’Alleanza Evangelica Svizzera, essa dichiara di credere …à l’inspiration divine et à l’autorité suprême des Écritures de l’Ancien et du Nouveau Testament qui constituent la Parole de Dieu sous forme écrite; elles sont entièrement dignes de confiance.
Anche un autorevole sodalizio, come quello ce si riconosce nel Patto di Losanna, nel suo “Impegno di Città del Capo” si è astenuto dalle pastoie di un’inerranza letteralistica e in temi non pertinenti la fede: Riceviamo l’intera Bibbia come parola di Dio, ispirata dallo Spirito di Dio, proferita e scritta tramite autori umani. Ci sottomettiamo a essa ritenendola autorevole in modo supremo e unico, tale da governare le nostre convinzioni e il nostro agire. Attestiamo la potenza che la parola di Dio ha di compiere il suo disegno di salvezza. Affermiamo che la Bibbia è la parola scritta definitiva di Dio, non oltrepassata da alcuna ulteriore rivelazione ma ci rallegriamo anche del fatto che lo Spirito Santo illumina le menti del popolo di Dio affinché la Bibbia continui a esprimere la verità di Dio in modi nuovi alle persone appartenenti a ogni cultura.
Ritenere che la Bibbia sia inerrante in materie che esulano dal messaggio salvifico non è necessariamente da condannarsi, ma non è necessario alla crescita della Chiesa, anzi è fonte di controversie al suo interno e di discussioni inutili e improduttive su particolari (delle più svariate discipline) che niente hanno a che fare con lo scopo per cui Dio ha ispirato il testo.
Noi auspichiamo che i cristiani evangelici italiani condividano lo spirito e la testimonianza di fede e di testimonianza delle Alleanze Evangeliche mondiali qui sopra riportate.
[1] Questa specificazione mi sembra pleonastica se solo si pensa al fatto che dei libri biblici non abbiamo nessun autografo. Quindi si dichiara l’infallibilità di un testo che oramai non esiste. Salvo a ritenere che Dio abbia assicurato l’inerranza dei copisti nel redarre le copie in nostro possesso ma siccome queste in alcuni particolari divergono, sorgerebbe il problema di stabilire chi sia stato il copista ispirato. Questioni di lana caprina: ad onta delle varianti testuali il messaggio salvifico della Scrittura è ben chiaro e ciò a ulteriore dimostrazione che è questo al quale va riconosciuto il carattere di sufficienza e di autorevolezza, cioè d’infallibilità.
Giancarlo Rinaldi
master.unior@gmail.com