Giorgio Spini e il pentecostalesimo: Homerus dormitat?

Quandoque bonus dormitat Homerus (traduzione: Ogni tanto anche il buon Omero sonnecchia). Il motto, che risale al poeta Orazio, vuol dire che anche un ottimo autore può incorrere in sviste e disattenzioni.

Che Giorgio Spini sia stato maestro (e maestro grande) di studi sull’evangelismo italiano è un dato di fatto così palese da indurci a proclamare senza tema di smentita che ognuno di noi, che tal disciplina ha a cuore, ha con lui contratto debito enorme di riconoscenza. Ciò mi ha reso ancor più lieto quando ieri, frugando tra le bancarelle di libri della napoletana via Port’Alba ho potuto reperire (a soli due euro!) un poco noto ma prezioso volumetto di Spini: Il protestantesimo italiano del Novecento (Edizioni La città del sole, Napoli 2005, pp. 80).

Sulla vivacità dello stile dell’Autore già ha detto il caro collega e amico di vecchia data Arturo Martorelli parlando, in premessa al testo, a nome dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici che ospitò queste sue conferenze. Io qui mi limito ad alcune poche sottolineature pertinenti alla storia pentecostale, tema qua e là trattato nel testo in parola e che è caro a molti di coloro che mi seguono. Non si tratta di trovar difetti o palesare limiti, attività (di cui io in primis sono vittima ricorrente e che è) propria di chi è estraneo al discorso storiografico e che così facendo, di denigrazione in denigrazione si dimostra invece proclive al chicchiericcio da portineria. Gradirei solo contribuire a un ampliamento del quadro atto a migliorare la fruibilità di un testo che, come tutti quelli dell’Autore in questione, merita di essere letto e riletto, anzi studiato.

Spini avrebbe voluto dedicare una monografia al pentecostalesimo italiano ma la sua dipartita dalla dimensione terrena gli impedì di coronare tal proposito. Peccato! In riferimento a questo ramo dell’evangelismo aveva frequentazioni ricorrenti, simpatie sincere e sintonie fraterne. Ciò, forse, spiega come mai le pagine qui dedicate al movimento appaiono più un cantiere di affettuosi rapsodici pensieri che un vero profilo di storia da par suo.

Pentecostalesimo e fascismo. Che quest’ultimo sia stato una dittatura non v’è ombra di dubbio, e che le dittature si facciano valere con la forza della coercizione piuttosto che con la vigoria del ragionamento è pure un dato di fatto che non necessita di congressi e volumi per esser dimostrato. Parliamo delle vessazioni antipentecostali degli anni del ventennio e la condanna delle dittature diviene allora chiara; ancòra più chiara appare se volgiamo lo sguardo ai paesi soggiogati dalla falce e martello fino al non troppo lontano 1989 dove più che a vessazioni si assisteva a un fiume di repressioni, di torture e di sangue e ciò – lo si ammetta onestamente – nel silenzio assordante della quasi totalità del mondo protestante italiano.

Spini parla della Buffarini Guidi come di orribile provvedimento, ed è nel giusto (ci mancherebbe altro!), ma concludere il discorso con un’ennesima condanna alla dittatura è parziale oltre che ripetitivo: dietro quel testo non v’è solo il potere fascista (in questioni di religione profondamente ignorante e insensibile) ma un’occhiuta e agguerrita diplomazia vaticana la quale è da considerarsi l’autentica ispiratrice del documento. Lo storico deve indagare in questa direzione approdando alla nunziatura apostolica in Italia e non limitarsi a ripetere e reiterare che il fascismo fu dittatura brutale con i pentecostali (in questo caso il repetita iuvat non calza). Del fascismo, piuttosto, indagheremo i mutamenti d’atteggiamento determinatisi anno per anno nei riguardi del mondo pentecostale pur permanendo chiara e ferma la condanna di quei momenti come di quel regime.

Così ‘sparare’ sulla legge dei culti ammessi del 1929 (pag. 45 ss.) significa ragionare secondo una sensibilità che è moderna. Definire ‘sempliciotto’ e ‘incauto’ il giurista valdese Mario Piacentini, ispiratore di tale legge, appare ingeneroso quanto errato: si trattò di una mente pensante, oltre che di un gentiluomo, a cui dobbiamo quella che va considerata la più documentata monografia giuridica sul tema. Una legge, questa del ’29, che ebbe gli applausi del mondo evangelico tutto, tra i primi quelli entusiastici del pentecostale Ettore Strappavecchia. Insomma il buon Renzo De Felice avrebbe potuto aggiungere questo particolare al suo affresco sul consenso che il regime ebbe tra la fine degli anni ’20 e i ’30.

Interessante è il tema della sopravvivenza della Buffarini in età repubblicana. Tema poco trattato; ma dire, come fa Spini, che “nessuno storico di parte laica ha fatto un’indagine di livello scientifico di questa ondata d’intolleranza” significa ignorare almeno due importanti monografie: quella di Raffaele Pettazzoni (forse il più grande storico delle religioni in Italia) del 1952 dal titolo Italia religiosa e quella di Giacomo Rosapepe Inquisizione addomesticata di circa dieci anni successiva.

Imperdonabile, poi, è lo scivolone in politica politicante in cui occorre lo Spini quando afferma (pag. 61) che dopo la Costituzione i socialdemocratici e i repubblicani (come i DC) ritenevano la circolare Buffarini Guidi più importante della Costituzione stessa. Falso. Furono proprio socialdemocratici come Luigi Preti a lottare a tempo e fuor di tempo per la libertà dei pentecostali contro la Buffarini, basti leggere gli atti parlamentari… e ci meraviglia che a uno storico ben inserito nei corridoi della politica così come nei palchetti delle biblioteche ciò sia sfuggito.

Inoltre: citare (pag. 72) le assemblee di Raffadali (1944 e 1945) come momenti in cui il pentecostalesimo s’avviò a darsi ordinamento presbiteriano è parziale se non fuorviante. Lì, invece, si coordinarono le azioni filantropiche postbelliche laddove fu a Napoli, nel 1947, che nacquero le ADI come denominazione che integrava il pregresso congregazionalismo con un ordinamento di tipo presbiteriano.

Del tutto errata, poi, è l’affermazione (sempre pag. 72) secondo la quale con questo processo organizzativo ci si allontanò “dai mondi fortemente emozionalistici e dai chiusi fondamentalismi e dal greve antintellettualismo delle Holiness Churches americane”. Meraviglia che uno storico metodista, come Spini, non abbia riconosciuto le radici squisitamente metodiste dei movimenti di santità che niente hanno a che fare con il fondamentalismo. È vero il contrario: il fondamentalismo, dopo aver solennemente condannato il pentecostalesimo, è penetrato nel mondo pentecostale quanto più questo si è allontanato dalla culla metodista / di santità per approdare a posizioni fondamentaliste le quali, storicamente, furono invece partorite proprio in ambienti presbiteriani negli USA.

La “freccia del parto” l’Autore la destina a Guglielmo Marconi accusato (pag. 53) di sbarazzarsi della prima moglie per convolare con una seconda tramite il ricorso a un battesimo cattolico. Questo ignobile voltafaccia lo avrebbe reso per volere di Mussolini presidente dell’Accademia Italiana. No, caro professore, questo non ci sentiamo di sottoscrivere, va bene la verve canzonatoria toscana, gradevole anche il permanente tono satirico ma ridurre un intellettuale del calibro di Marconi ad amorazzi e dentifrici quali titoli per far carriera al cenno del dittatore, no. Non ci sentiamo di sottoscrivere e non solo per un ovvio parce sepultis: Guglielmo Marconi fu il genio che incontestabilmente è stato, persona e scienziato ben al di sopra di pruriti e raccomandazioni. Ce ne fossero ancòra come lui a reggere le nostre accademie e università! Ve ne fossero ancòra uomini e studiosi come Giovanni Gentile a reggere i nostri Ministeri! Io sono sincero e non esito a dire a chiare lettere che li rimpiango: non guardo il loro distintivo, guardo la loro levatura, proprio come oggi conviene guardare ai distintivi e non alla levatura al fine di non scoppiare in lacrime.

In definitiva: libro interessante, utile, ben pensato e ben scritto questo di Giorgio Spini e, tuttavia, nel leggerlo non ci si dimentichi che Venere era bella anche per quel suo neo…

Giancarlo Rinaldi

 

 

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