Andrea Annese, Tra Riforma e politica. Il metodismo in Italia dall’Unità al caso Buonaiuti, Edizioni Viella, Roma 2018, pp. 398, euro 36,00.
Un libro ben pensato e ben scritto. Non solo utile ma anche opportuno poiché palesa il volto autentico del metodismo italiano dai suoi esordi postunitari fino agli anni ’40 del secolo scorso. E’ il frutto di lunghe consultazioni in archivi e biblioteche di Andrea Annese, un buon frutto della buona scuola storico religiosa dell’Università di Roma La Sapienza, un dottore di ricerca al quale auguriamo ogni successo, sicuramente meritato. Benemerita è anche l’iniziativa di Paolo Naso e dell’OPCEMI che ha consentito questo percorso prima di ricerca, poi editoriale. La guida dello stimato collega e amico di vecchia data Gaetano Lettieri ha poi condotto felicemente la nave in porto.
Per troppo tempo ci avevano raccontato che il metodismo italiano non ha mai avuto anima wesleyana, tutto preso e compreso in battaglie sociali e politiche prodrome di quella che sarebbe stata la confusa fusione con la chiesa valdese nel 1975. Insomma tutto in linea con questo epocale matrimonio al quale la chiesa metodista si presentò dimenticando la sua dote, anzi certa di non averla mai posseduta. Ed erano maestri di gran talento come Vittorio Subilia a indurci in tal mala persuasione. Anche Giorgio Spini, che fu maestro grande di studi sull’evangelismo italiano e che il metodismo ebbe a cuore anche a motivo di appartenenza, in alcune sue pagine c’indusse a ritenere che più generazioni di pastori in quei lontani decenni sacrificarono l’Evangelo alla squadra e compasso, irretiti in scivoloni politici e quasi inconsapevoli dell’anima autentica della denominazione che era la loro: quella nata dal risveglio di John e Charles Wesley. E qui mi fermo, ravvisando in tali letture una dimenticanza se non forse una sorta di rimozione storiografica.
L’Annese per più di tre anni (tanto dura un dottorato) s’è chiuso in archivi e biblioteche d’Italia e d’Oltremanica per consultare tutta la produzione a stampa di quegli antichi nostri ‘padri’ metodisti, i verbali delle loro conferenze, le loro corrispondenze, insomma ogni loro traccia poi accuratamente vagliata. Ne è venuto fuori un affresco che ribalta completamente quadri e quadretti precedenti. Proprio così: quegli antichi metodisti italiani, missionari o nostri conterranei, misero sempre e comunque in prima fila l’essenza del messaggio di Wesley; e se impegno sociale (si badi bene ‘sociale’, non ‘politico’) vi fu questo derivò dalla santità sociale del primitivo metodismo non certo da scelte di tipo politico e seriore. Non si contano le traduzioni in italiano di Wesley (in primis la fondamentale Perfezione cristiana) e poi i sermoni miranti ad arginare le derive di un predestinazionismo che sembrava distogliere i credenti dal bene operare. Ancòra: le edizioni di opuscoli, catechismi, testi di dottrina, di spiritualità. Il tutto incentrato sul messaggio di salvezza per i peccatori e di santificazione per i credenti. Valga l’esempio della dottrina della seconda opera della grazia dopo la giustificazione che il credente metodista era chiamato a sperimentare con le “lingue di fuoco” di cui parlava il sovrintendente Arthur e che chiaramente presagiscono la predicazione pentecostale del battesimo di Spirito santo.
Nella ricerca dell’Annese emergono anche profili d’intellettuali che fecero propria la causa evangelica dando vita a pubblicazioni di notevole rilievo se solo si tien conto dei tempi (tra cui Taglialatela, Caporali, Gay per citarne alcuni pochi). L’Autore è informato anche sul fenomeno che Gangale ebbe a definire ‘massonevangelismo’ anche se vi dedica pochi essenziali ma corretti cenni: ne vien fuori una serie di pastori che afferirono alle logge e che, ad un tempo, si consacrarono all’evangelizzazione dell’Italia lasciando ai posteri una testimonianza limpida, buona editoria, ammirabili opere sociali, edifici belli e confortevoli, etc.
L’Annese ha potuto cogliere questo genuino volto del metodismo italiano anche perché proviene dagli studi di patristica e di storia del cristianesimo dei primi secoli. E così s’accorge che la conoscenza di quell’antica letteratura non era solo un instrumentum polemico anticattolico, al contrario era la ‘cattolicità’ che il metodismo sempre ha vissuto collegandosi alle pure radici della storia cristiana. Peccato che poi questo interesse sia evaporato a tal segno che una istituzione come la Facoltà Valdese di Teologia, benemerita per tanti e moltissimi aspetti, quanto a cristianesimo antico e patristica taccia con assordante silenzio, e ciò proprio nella nostra Roma che tali memorie ha trasmesso a chi sa raccoglierle.
Insomma, ogni evangelico italiano potrà godere di questa lettura; in particolare il metodista al quale Annese (che, credo, metodista non sia) restituisce la sua vera storia e, con questa, la sua genuina identità.
Oso augurarmi che non solo il libro sia diffuso e studiato ma anche che il metodismo italiano (sempre vicino al mio cuore) recuperi il suo DNA evitando di configurare un profilo che giuridicamente potrebbe dirsi aliud pro alio.
Giancarlo Rinaldi