Un triste documento da dimenticare: la Dichiarazione di Londra 2000

La Dichiarazione di Londra sottoscritta dall’Alleanza di cristiani riformati (Alliance of Reformation Christian) nella capitale britannica nel 2000 è quanto di peggio possa essere messo in circolazione in ambienti realmente evangelici specialmente qui in Italia. Dispiace rilevare che questo testo sia compreso tra le Dichiarazioni evangeliche edite nel 2017 a cura di P. Bolognesi per i tipi delle Dehoniane di Bologna.

Si tratta di un testo che trasuda supponenza e mancanza di senso di fratellanza in quasi ogni suo paragrafo. Sulla scorta della mia non breve esperienza di lettore di testi cristiani non esiterei a definire questa Dichiarazione un autentico pernicioso tentativo di lacerare il corpo di Cristo che è la chiesa. Ora mi corre l’obbligo di documentare queste mie affermazioni.

Premessa. In una società, quale quella italiana, da un lato profondamente secolarizzata dall’altro egemonizzata culturalmente dalla Chiesa Cattolico Romana, la galassia delle comunità evangeliche avrebbe bisogno di trovare una serena e condivisa piattaforma unitaria di fede per recare la Buona Notizia. Certamente l’ultima necessità degli evangelici italiani è quella di compilare una stizzosa pagella che divida i buoni dai cattivi secondo vecchie controversie che, nei secoli scorsi, sono giunte persino a seminare intolleranza, carcerazioni e morti tra credenti di diverso orientamento i quali avrebbero dovuto non dico amarsi, ma neanche farsi la guerra civile. E, invece, questa improvvida Dichiarazione è una vera e propria ‘dichiarazione’ di guerra civile atta a separare. Risulta pertanto provocatorio se non lugubremente ridicolo il suo sottotitolo Una visione per l’unità biblica nella Chiesa moderna.

Usciamo dall’equivoco. Il testo viene presentato in maniera maliziosamente ambigua come prodotto di evangelici riformati. Il lettore sprovveduto, o anche un po’ superficiale, cade nell’errore di credere che si tratti di cristiani divenuti evangelici a sèguito della Riforma del secolo XVI. Così non è. La Riforma ha prodotto una gran varietà di orientamenti teologici. Nel nostro caso, invece, “riformato/i” si riferisce soltanto ed esclusivamente a chi è seguace di Giovanni Calvino e, in particolare, della sua dottrina sulla predestinazione. Quindi attenzione, i due termini non sono sinonimi: se tutti i riformati (cioè calvinisti) sono evangelici, gli evangelici non sono tutti riformati (cioè calvinisti).

Un testo contraddittorio. Sorprende come a distanza di poche righe i compilatori cadano in una palese contraddizione: da un lato[1] condannano i gruppi i quali “hanno la pretesa settaria che la verità si trovi solamente al proprio interno”, dall’altro[2] si cimentano in un profluvio di condanne a fratelli evangelici tipiche di chi si ritiene monopolista dell’unica verità. E poi non è contraddittorio proclamare che si lavora “per l’unità biblica” laddove, con questo torrente di condanne, ci si separa dalla stragrande maggioranza dei corpi evangelici? In realtà la forma mentis dei compilatori non consente loro di distinguere tra verità cardine irrinunciabili e dottrine per le quali, a motivo della loro complessità, è ben doveroso riconoscere il diritto di pensarla diversamente.

Di condanne ce n’è per tutti. Il pluralis maiestatis con il quale si esprimono i compilatori rischia di cadere nel ridicolo quando richiama la prosa delle scomuniche papali, in particolare il famigerato Sillabo di Pio IX del 1864. Ma, forse, quest’ultimo documento suona più blando dei pronunciamenti calvinisti di Londra, anche perché la cattedra pontificia ne ha fatto di marce indietro da allora!

Se volessimo prendere sul serio gli estensori della Dichiarazione dovremmo gettare nel cestino dei rifiuti l’intero evangelismo italiano, fatta eccezione per qualche minoranza di autoproclamatisi illuminati. Certamente. Il documento, infatti, respinge “L’insegnamento di Barth e dei suoi seguaci moderni”; conclusione: i nostrani valdesi possono far le valige e levare il disturbo. Poi si condanna “ogni forma di sinergismo o semipelagianesimo” identificando con queste la tradizione arminiana. Si dà il caso che alla tradizione arminiana appartenga il movimento metodista, e a questa pure l’Esercito della Salvezza, le chiese afferenti ai Movimenti di santità e la vasta galassia pentecostale. Ma per quest’ultimo v’è una doppia, ulteriore razione di scomuniche, esplicite e senza possibilità d’appello, laddove si sentenzia la condanna di “ogni forma di pentecostalismo e dispensazionalismo”[3]. E se non avete ben capito, poco dopo si è ancora più espliciti quando si pontifica: “respingiamo lo spettacolo soggettivo e spesso disordinato dell’adorazione stile carismatico, con tutte le relative pratiche, come il presunto parlare in lingue…”. Gli autori dimostrano inoltre di essere incapaci di distinguere tra il pentecostalesimo ‘classico’, ampiamente maggioritario in Europa e in Italia, radicato nella teologia e nella tradizione della Riforma dai fenomeni da baraccone costituiti da telepredicatori alla ricerca di dollari e urlatori di miracoli. Questa indistinzione è spia di una incapacità non solo di leggere la storia della cristianità, ma anche di voler da un punto di vista pastorale favorire la prevalenza di quanto va incoraggiato a progredire e maturare. Come abbiamo visto anche i dispensazionalisti sono condannati. Insomma, abbiamo capito bene, qui si salvano solo i firmatari del documento, unici eletti predestinati prima dell’inizio dei tempi e che mai e per niente potranno venir meno dalla loro privilegiata posizione.

Ciliegina sulla torta. Questa moderna congregazione da Sant’Ufficio protestante, dichiarando che la fede cristiana è molto più della pietà personale asserisce che Cristo avrebbe “pretese… anche sugli affari pubblici della comunità, della nazione…”. Un’asserzione del genere posta sulle labbra di gente così tanto proclive alla facile scomunica fa accapponare la pelle: posto che Gesù in prima persona non può candidarsi alla presidenza del Consiglio o della Repubblica, immaginate gli effetti di un dominio ‘politico’ gestito qui in terra dagli estensori del Documento di Londra a nome e per conto del buon Dio?

Conclusione. Cosa fare? In primis derubrichiamo la Dichiarazione da quelle presentate come ‘evangeliche’, perché evangelica non è o, almeno non ci sembra: queste poche paginette, lo abbiamo visto bene, lacerano il tessuto dell’evangelismo e nel far ciò sono nocive specialmente qui e ora in Italia. Non abbiamo bisogno di riesumare i fantasmi di lotte teologiche del Seicento che insanguinarono persino le chiese. Colpisce non solo la capacità di seminare in così poche righe tra noi tanta zizzania, ma anche l’arroganza di chi presume di parlare a nome dell’evangelismo tutto e agita la Bibbia non già per far risuonare una Buona Notizia che si traduca in pace principalmente tra i credenti, bensì per avvalersi di uno strumento, una clava con cui colpire chi non la pensa esattamente come loro.

Giancarlo Rinaldi

[1] Pag. 39, paragrafo 51.

[2] Pag. 38, paragrafo 49.

[3] Pag. 42, paragrafo 55.

Nella foto: Michele Serveto, messo al rogo nella Ginevra di Calvino nel 1553.

 

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