Chiedo scusa se ritorno alla mia succinta analisi del corpus protestante italiano in riferimento a una serie di interventi (fortemente) critici su quanto ho precedentemente espresso. Lo faccio un po’ perché in questi interventi è citato il mio nome, un po’ perché internet è spazio pubblico, un po’ (forse il di più) perché temo di non essere stato adeguatamente chiaro. Unica mia attenuante: la dimensione minuscola dei famigerati quadratini di facebook.
Intanto se sono sembrato “rozzamente maleducato”, “offensivo” oppure “urticante” mi incombono due doveri: chiedere scusa e poi spiegarmi meglio. V’è chi ha paragonato le mie parole a spine. Chi un po’ conosce la botanica sa che in molte piante le spine diventano poi rami e quindi verdi foglie ossigenanti, se non addirittura fiori. Le mie spine non intendono pungere ma pungolare. Se avessi fatto un applauso di fronte a quella che io osservo quale situazione del protestantesimo italiano, questo applauso a niente sarebbe valso, né a valdesi, né a pentecostali, né a me, né a chi mi legge. Meglio le critiche, ispirate alla parresìa evangelica e al desiderio di costruire. Personalmente trovo più utili le critiche che gli elogi sperticati, più gli stimolanti che le pomate.
Che i protestanti italiani debbano ritenersi tutti figli del valdismo è un dato di fatto. Anche nelle denominazioni di tipo ‘evangelicale’ quando il tono del discorso si elevava erano i libri dei pastori valdesi delle passate generazioni che ci illuminavano; lì trovavi amore per la Bibbia, chiarezza di esposizione, informazione attendibile. Parlar male della Chiesa valdese significa denigrare chi a suo tempo ti ha nutrito, e anche bene. Tuttavia come appare quella chiesa oggi non è cosa da indurre euforia. E non sono io a dirlo ma se ne parla e straparla ai Sinodi. Che la tensione evangelistica e la filigrana identitaria si sia diluita e, a tratti, evaporata credo sia un dato di fatto. Che una convergenza tra la voce della chiesa e quella dei movimenti ‘progressisti’ (termine non del tutto appropriato ma utile) vi sia così da fonderle e confonderle sovente insieme, credo pure che lo si possa almeno sospettare. Quanto alla convergenza di una chiesa con una parte politica continuo a dichiarare a testa alta che è un errore madornale o, per meglio esprimermi, una riedizione in piccolissimo, riveduta e scorretta della teologia politica di Eusebio di Cesarea verso Costantino imperatore. Sono aperto al discorso fede / politica ma non per questo mi dimentico delle ‘sole’ indotte da benefattori di turno, siano Costantino e i suoi figli, gli uomini della provvidenza o il partito come pilota e gli intellettuali organici al suo seguito.
Passiamo al metodismo italiano. A lui dobbiamo, con cuore grato, l’evangelizzazione della nostra penisola a suo tempo. Tuttavia che la dottrina di Wesley costituisca oggi un oggetto pressoché misterioso credo sia difficilmente negabile. Che l’insegnamento e l’esperienza della “perfezione cristiana” sia oggi un reperto museale collocato nei depositi credo pure sia palese. Che i metodisti si siano presentati alle nozze con i valdesi senza la loro dote naturale è un dato di fatto.
Quanto alla Facoltà Valdese non oserei negare la sua storia antica e nobile, né la sua efficiente biblioteca, né varie pregevoli iniziative culturali. Come però funzioni la macchina più da vicino non potrei dire poiché, ad onta della strettissima vicinanza geografica e della affinità di temi trattati, non ho mai avuto opportunità di colà esprimermi in carenza cronica di inviti e/o aperture in tal senso. Non mi rattristo poiché medesima sorte fu riservata a suo tempo a un nome di gran rilievo come quello di Fausto Salvoni che avrebbe potuto portare in casa protestante una enorme preparazione patristica e di cristianesimo dei primi secoli che ancòra credo lì si attenda. L’immissione recente nei ruoli di persona oltre che preparatissima mentalmente aperta e serena come Erik Nofke mi induce in ogni caso a ottimismo.
Di mestiere faccio il professore di Storia del cristianesimo e negare quanto sopra espresso mi renderebbe un falsario.
Veniamo al pianeta ‘evangelicale’, dove scissioni dell’atomo polverizzano ciò che respira. Dove ancòra corri il rischio d’incontrare chi sentendosi “unto dall’Alto” si sente esonerato dal leggere. Dove esponenti dei diversi enti di formazione (IBI, IBE, Fac. pentecostale, IFED, etc.) mai li ho visti sedere intorno a un tavolo e costruire qualcosa insieme… il che è la negazione della ricerca ‘scientifica’ che proprio sul dialogo e la cooperazione tra diversi si basa. Grazie, tuttavia, alla Shepherd University che con il Convegno sulla Riforma di Milano dell’11 novembre si accinge a infrangere questa regola dado vita, anche su mio modesto input, a una polifonia sia pur non completa.
E’ innegabile che l’integralismo e il legnoso fondamentalismo mietano vittime in ambienti dove sulla formazione non si fanno gli investimenti adeguati. Questo è il terreno di coltura di butindaroidi, di predicatori del vangelo della prosperità (quando di più volgare vi sia sul mercato), di evangelisti dal dollaro facile, di dottori biblici fai da te.
Poco importa se abbiamo la sensazione di una lunga traversata nel deserto, siamo (o dovremmo essere) uomini di fede: l’importante è la destinazione a cui tendiamo.
Io tendo verso un evangelismo italiano che sia in grado di coniugare la solidità della tradizione riformata con l’entusiasmo del Risveglio. L’attenzione con cui tramanda il “buon deposito della fede” con l’apertura di chi dialoga e tenta di leggere i segni dei tempi. La fedeltà alla propria identità con la tolleranza verso chi la pensa diversamente.
Ci riusciremo?
Certo se il problema non l’enunciamo in termini chiari, realistici, dissacratori, “urticanti” non avremo neanche lo stimolo e la chiarezza d’idee per ravvisare una soluzione e trarre la forza per perseguirla.
Valga su tutto sia la preghiera, sia la capacità di chiamare ‘fratello’ anche chi dissente da me e lo fa provocatoriamente.
P.S.: Nella foto: la Bibbia della Riforma (Nuovo Testamento) un ottimo esempio di cooperazione tra protestanti italiani che lascia ben sperare.
Giancarlo Rinaldi