La casa editrice Jaca Book pochi giorni or sono ha ristampato un classico di Marta Sordi. I cristiani e l’impero romano. Si tratta di un corposo scritto che vide la luce per la prima volta, come editio maior, nel 1965 per i tipi dell’Editrice Cappelli di Bologna,
Marta Sordi (1925-2009) è stata docente di Storia Romana presso l’Università Cattolica di Milano. Le sue competenze spaziavano, con autorevolezza, dal mondo miceneo al medioevo. La sua produzione è stata enorme così da indurmi a tralasciarla in questa sede. Tra i temi che più l’appassionarono vi fu il rapporto tra comunità cristiane e impero romano al quale ha dedicato una serie di studi anche minori, tutti grosso modo ripresi o anticipati nel voluminoso tomo del 1965.
Ebbi il piacere di conoscerla e di apprezzarne le doti di signorilità, prima ancòra che di competenza. Ci scambiavamo le rispettive pubblicazioni, libri oppure estratti di articoli, e non v’era mio scritto pervenutole per posta al quale non rispondesse immediatamente e cortesemente con uno suo accompagnato da lettera.
Tuttavia le nostre analisi di quel rapporto tra cristiani e società romana erano opposte al vertice. Al centro della sua ricostruzione v’era la convinzione secondo la quale la religione cristiana sarebbe stata naturalmente in sintonia con la cultura dominante nella società imperiale, in primis lo stoicismo. Da qui, anche, la sua persuasione che buona parte dell’epistolario tra san Paolo e Seneca fosse autentico; tesi per me molto fragile.
Quanto a me ho ritenuto, e ancòra ritengo, che nei primi secoli dell’era volgare si sia consumato un conflitto tra due visioni del mondo antitetiche: da un lato la paideia ellenistico romana (per intenderci il ‘paganesimo’), dall’altro una forma di giudaismo (il cristianesimo) che non poteva più considerarsi la religio licita di una bizzarra etnia, quella giudaica, bensì una minaccia per le strutture sociali dell’impero, vuoi per i suoi contenuti, vuoi per la sua azione proselitistica costante e invasiva.
La Sordi partiva da un apprezzamento letterale di un brano dell’apologeta cristiano Tertulliano (inizio III sec. dC) secondo il quale l’imperatore Tiberio sarebbe stato per tempo informato da Pilato sul carattere lealista della predicazione di Gesù e conseguentemente avrebbe proposto al senato romano di legittimare il suo culto tramite un pronunciamento (in termini tecnici un senatoconsulto’). Il senato avrebbe però rifiutato condannando così di fatto i cristiani a un regime di ambiguità e ostilità giuridica foriero di persecuzioni.
Che il senato sia stata un’assise convintamente anticristiana ho avuto modo io stesso di dimostrare in un mio studio monografico che induceva a tale conclusione (Ordo persecutorum). Tuttavia io sono convinto che Tertulliano, per finalità apologetiche, abbia non tanto riportato una notizia di più di due secoli anteriore, quanto abbia retrodatato una situazione dell’età sua: in altre se pagine, infatti, egli inferma che il suo imperatore (Settimio Severo) avrebbe guadato con favore i cristiani, avversati invece dal senato. Questa proiezione è per me confermata dall’esplicito riferimento alla Syria Palaestina quale teatro dei fatti, una designazione che ben s’attaglia proprio all’età dei Severi e non a quella giulio claudia a cui appartenne Tiberio.
Sordi aveva tuttavia ragione da vendere quando parlava di sentimenti lealistici verso l’impero da parte di apologeti e scrittori cristiani: costoro non mentivano quando così si pronunziavano! Al contrario una visione storiografica d’ispirazione marxista considera quella cristiana la religione delle classi subalterne in rivolta contro i vertici del potere.
Termino con un richiamo autobiografico, visto che l’età mia s’avvia ad essere quella dei bilanci. Ricordo l’accanimento con il quale un docente di Storia della chiesa antica dell’ateneo federiciano di Napoli, dove lavoravo allora, s’impegnava a confutare le tesi della Sordi, specialmente quelle che a suo parere avrebbero avuto una ricaduta politica di ‘attualità’ con il loro presentare la religione di Cristo come quella della moderazione e della cooperazione con l’impero. Il docente, di cui non ricordo il nome (o, forse, preferisco non sollecitare la memoria), ad onta di una sua preparazione di base di giurista e non di lettore di fonti o di navigatore tra le correnti del pensiero filosofico e religioso antico, non entrava mai nel merito delle pagine dell’avversaria, ma si limitava a parlare genericamente di ‘metodo’. Quando poi gli finivano le poche cartucce, giù vere e proprie contumelie verso la collega di Milano accusata di non saper leggere se fonti, di non conoscerle e così via. In realtà l’accusatore, esponente della buona e grassa borghesia partenopea, si baloccava con un approccio veteromarxista che doveva sembrargli così tanto di moda.
Ma basti un bilancio solo bibliografico tra i due: da un lato una produzione che spaziava nei secoli che intercorrono tra il mondo miceneo e quello medioevale, dall’altro una informazione su poco più di soli cento anni di storia cristiana, posto che i discorsi e le lezioni del federiciano non andavano mai oltre il principato di Marco Aurelio.
Mi sia consentita una conclusione: è possibile dissentire dalle tesi di una collega, anzi è utile che così sia poiché il progresso storiografico si nutre di contrapposizioni. Tuttavia siano queste condite con il garbo di chi ricorre al fioretto (un tempo ritenuto “compimento d’educazione”) e con l’apprezzamento per il valore umano e scientifico della persona alle cui tesi ci si vuol opporre.
Grazie, cara collega Sordi, per tutto quanto hai prodotto, specialmente per ciò su cui non concordo. Proprio queste tue pagine mi hanno aiutato a maturare e consolidare le mie convinzioni!
Giancarlo Rinaldi