Il protestante italiano non sempre riesce a districarsi nella lussureggiante vegetazione di denominazioni, indirizzi dottrinali, correnti teologici di cui consta la sua “famiglia della fede” ad ampio raggio. In lui prevale la necessità di prender le distanze dalla chiesa romana (da cui probabilmente fuggì) o di arroccarsi a quei punti comuni che identificano la sua posizione di fede.
A questo protestante italiano certamente non voglio complicare la vita, ma credo sia interessante far un po’ di chiarezza in questo mare magnum che c’è di fronte.
Individuiamo tre grandi tronconi del protestantesimo:
- il luteranesimo, come dice il nome scaturito dal cuore e dalla mente del grande riformatore;
- la tradizione riformata derivante dal pensiero teologico di Giovanni Calvino;
- l’anglicanesimo che in Inghilterra non sorse, come comunemente si afferma, per un prurito sessuale di Enrico VIII ma ha una sua piena dignità teologica. In realtà i teologi inglesi, nel corso dei decenni, diedero corpo e anima al ramo cristiano che in quei regni s’era impiantato; non si trattò solo di attingere volta per volta dai grandi riformatori (in primis Lutero e Calvino) ma vi fu una mirabile opera di collegamento con le fonti antiche del pensiero cristiano dei primi secoli.
Nella Chiesa Anglicana si distinse, nel Settecento, il predicatore e teologo John Wesley che diede vita al metodismo. Il cuore del messaggio metodista coincideva con la pura teologia della Riforma: la giustificazione per fede e la sufficienza della Bibbia in ogni argomento di fede e di condotta. Wesley, inoltre, aggiunse ai motivi emersi dalla Riforma un’eredità teologica che la cristianità antica derivava direttamente dal Nuovo Testamento: l’esperienza della santificazione come seconda opera della grazia successiva alla conversione. Si trattava sì di un graduale processo di crescita spirituale ma anche di una puntuale esperienza di pienezza di Spirito Santo che potenziava la vita spirituale del credente cancellando la sua naturale ed ereditaria ostilità a Dio per impiantare un cuore nuovo e una potenza nuova al servizio di Dio. Questo era, per Wesley, il piano completo dell’opera di Dio in un credente, da ciò il nome (tratto dalla Bibbia) di perfezione cristiana. Ben presto autorevoli teologi metodisti (J. Fletcher) chiamarono questa seconda benedizione Battesimo di Spirito Santo.
Col passare degli anni questa tensione dei metodisti verso la dottrina della perfezione cristiana conobbe una diluizione, così che negli Stati Uniti, poco prima della metà dell’Ottocento, una moltitudine di pastori e predicatori provenienti dall’esperienza del metodismo, al fine di predicare questa esperienza, si vide costretta a uscire dalle proprie comunità per dare vita a tutta una serie di chiese e congregazioni caratterizzate da questa predicazione di santità: nasce il Movimento di Santità.
Nell’ambito di questo movimento si originò il pentecostalesimo il quale riteneva che l’esperienza del battesimo di Spirito Santo si dovesse palesare con il segno visibile di parlare in lingue. Vi fu dunque un spaccatura nel seno del movimento di santità: da un lato i pentecostali che ritenevano quello delle lingue l’unico segno dell’esperienza interiore, dall’altro i seguaci dell’originario Movimento di santità i quali questo segno esteriore lo individuavano nell’esercizio di qualunque dono dello Spirito o carisma, non necessariamente nella glossolalia.
E in Italia?
La grande missione protestante italiana nacque grazie a un Movimento di santità. Sì, perché allora, sùbito dopo l’Unità d’Italia nel 1861, furono i metodisti vecchia maniera a diffondere Bibbie, innari e opuscoli. Al cuore della loro teologia, come ho dimostrato altrove in un mio studio, v’era l’esperienza e la predicazione della perfezione cristiana, in perfetta linea con Wesley e i wesleyani dei movimenti di santità.
Quest’anima del metodismo italiano venne gradualmente a eclissarsi, fino all’unione dei metodisti con i valdesi degli anni ’70 del secolo scorso dove i primi si presentarono nella realtà dei fatti non più wesleyani e i secondi, lontani dal calvinismo sottoscritto al sinodo di Chanforan (1532), rimasticavano la teologia barthiana in salsa nostrana.
Tuttavia in Italia non mancarono paladini della tradizione di Santità. Basti citare l’Esercito della Salvezza la cui teologia era (ed è) tutta ben radicata nella dottrina wesleyana della seconda opera della grazia successiva alla conversione. Poi nel secondo dopoguerra s’affacciarono la Chiesa del Nazareno e, successivamente, la Chiesa di Dio (Anderson, Indiana). E’ molto recente l’attività, incentrata nelle Marche di chiese afferenti all’Alleanza Cristiana e Missionaria, altra denominazione pienamente appartenente ai movimenti di Santità.
Io individuo una enorme responsabilità di questi gruppi (d’intesa con metodisti italiani che ancora amano Welsey e ne sono nostalgici) al fine di far conoscere la loro peculiarità teologica ed esperienziale. Non si tratta di far proselitismo tra evangelici (per carità!), ma credo sarebbe utile presentarsi con una identità chiara.
In fondo, se tutti parliamo di un Risveglio, quale miglior risveglio di un Battesimo di Spirito Santo da predicare a chi già ha accettato Cristo, affinché l’offerta di aiuto di Dio sia ‘perfetto’ nel senso di completa?
A quanto un Convegno Nazionale promosso dai “figli di Wesley”?
Grazie per il contributo storico ed anche per le note inerenti all’identità teologica sia di valdesi sia di metodisti qui in Italia ai tempi in cui (qualche decennio fa) quei due raggruppamenti si fusero. Infine, c’è da dire che ho notato una una crescita graduale seppure lenta delle chiese aderenti alla CMA qui in Italia ed è stato bene citarle in questa sede.