In casa protestante è tutto un esser fieri della propria aderenza al modello neotestamentario. Specie in quest’anno di celebrazione, 2017, ci si riempie la bocca di Sola Scriptura e si va a dormire gratificati con la sensazione di avere noi le carte in regola, anche in materia di ecclesiologia, avendo realizzato una Riforma che ripudiava i modelli gerarchici e antibliblici del cattolicesimo romano e ripristinato il dettato scritturistico anche in materia di culto e di strutturazione della comunità.
Ma, se è vero come è vero che la chiesa è sempre da riformare, forse sarebbe interessante e utile fermarsi a considerare alcune pagine ecclesiologiche tratte dalle epistole paoline per ‘monitorare’ se effettivamente le nostre comunità ricalcano fedelmente il modello che là chiaramente compare.
Nel mio volume Cristianesimi nell’antichità (pag. 272) asserii che la vita cultuale delle prime comunità era un dispiegarsi di doni e di carismi divini. La mia affermazione si basa su alcuni brani biblici. I seguenti: 1 Corinzi 12,1-11.27-31; Romani 12,6-8; Efesini 4,11. Incominciamo col rilevare che di ministero del pastore, con tale designazione specifica, se ne parla una sola volta ad onta della gran quantità di titoli, carismi e ministeri elencati. Eppure oggi tutto sembra essere assorbito proprio dal pastorato! Istituzione splendida e da sostenere, ma non certo esaustiva dell’intero panorama.
Iniziamo dal brano ai corinzi. Ogni esercizio ecclesiale è rubricato come pneumatika (greco) tradotto generalmente come “doni spirituali”. Il concetto è chiaro: si tratta di conferimento da parte dello Spirito di Dio. In sé il termine pneumatika potrebbe anche riferirsi a operazioni d’ordine psichico (noi diremo anche ‘parapsicologico’) ma Paolo ci dà la chiave di volta per distinguere se è all’opera lo Spirito di Dio o altre energie da non prendere in considerazione o da respingere: i veri doni dello Spirito si manifestano esclusivamente nella glorificazione del Kyrios (Signore) Gesù. Paolo, poi, distingue in queste “operazioni spirituali” tre diverse categorie 1. Doni (karismata); Ministeri (diakoniai); Operazioni (enérghema). Segue, inoltre, un elenco di queste che, se esercitate, diventano funzioni, manifestazioni dell’unico Spirito. Eccole:
- a) parola di sapienza (sofia);
- b) parola di conoscenza (gnosis);
- c) esercizio della fede;
- d) dono di guarigioni;
- e) dono d’operare miracoli;
- f) dono di profezia;
- g) discernimento degli spiriti;
- h) diversità di lingue;
- i) interpretazione delle lingue.
Nello spesso capitolo dodicesimo, poco dopo (vv. 28 ss.) Paolo elenca tre ‘ministeri’, che sono quelli dell’apostolo, del profeta e del dottore. Richiama ancòra alcuni carismi (guarigione, assistenza, governo, lingue). Notiamo che il vocabolo ‘pastore’ manca, laddove l’enfasi è sul ministero di chi fonda le comunità (apostoli), chi annunzia loro la volontà di Dio (profeti), chi eroga formazione (dottori). Il dramma attuale è che la funzione del pastore abbia assorbito queste tre funzioni alterando lo schema biblico chiaramente esposto da Paolo.
Sul tema dei carismi comunitari Paolo ritorna in Romani 12,7-8. Ne elenca sette, i seguenti che, grosso modo, ricalcano quelli già individuati ai corinzi; eccoli:
- a) profezia [già ricordata in 1 Cor. 12,10.28];
- b) ministero [diakonia già citata pure];
- c) insegnamento [corrisponde al ministero del ‘dottore’ già ricordato in 1 Cor. 12,28; riguarda coloro che hanno “parola di saggezza e di sapienza” in 1 Cor. 12,8];
- d) esortazione;
- e) elargizione generosa [‘assistenze’ in 1 Cor. 12,28];
- f) presidenza [“doni di governo” in 1 Cor. 12,28]
- g) opere pietose [‘assistenze’ in 1 Cor. 12,28].
Nella Lettera agli Efesini, che molti considerano non composta da Paolo stesso ma di scuola paolina, si conservano fedelmente gli schemi già visti e fa capolino il ministero del ‘pastore’. In 4,11, infatti, leggiamo che Dio ha dato:
- Apostoli;
- Profeti:
- Evangelisti;
- Pastori;
- Dottori.
Sia ben chiaro che qui non si àbroga né si supera la prospettiva carismatica fatta valere in 1 Cor. e Rom., e tuttavia il servizio ministeriale alla comunità sembra scorrere su binari più definiti. Distinguerei il ministero del pastore da quello del dottore sia perché preferisco intendere il kai che nel testo greco è tra i due vocaboli non in senso esplicativo ma in funzione elencativa ed a chiusura dell’elenco stesso. D’altro canto, è qui è il caso di ‘modernizzare’, con le conoscenze oggi accumulate anche in campo biblico, teologico, storico etc. come possiamo cumulare nella funzione pastorale anche quella della formazione specialistica che implica una specifica consacrazione, come si evince dai primi elenchi paolini citati e dell’insegnamento (didaskalia) che pure esige una specifica proclività?
Per le chiese pentecostali valga ora un appello a mantenere vivi i carismi e i ministeri tutti, senza maldestre potature che ridurrebbero la “rivoluzione spirituale e carismatica” del movimento a una riabilitazione dell’ufficio pastorale unico e farebbero coincidere una parvenza di vita carismatica soltanto con la rumorosità dell’assemblea durante il culto.
Per le chiese ‘cessazioniste’ valga la raccomandazione a non stracciare preziose pagine della Bibbia ed a riscoprire i carismi, lingue o non lingue.
Giancarlo Rinaldi