Quale governo per la chiesa?
A questa domanda non posso dare una risposta univoca, definitiva e senza appello. In realtà il Nuovo Testamento, al quale intendiamo attenerci, non presenta una normativa chiara e articolata sul particolare miglior governo della chiesa (intesa come singola comunità o come insieme di queste).
A mio avviso ciò deriva da due principali motivi: 1. Quelle pagine intendono presentare un messaggio di salvezza e, si sa, non è la chiesa a costituire strumento di salvezza bensì la fede del singolo credente; 2. Quando allora si parlò e si scrisse di ‘chiesa’ il pensiero prevalente non era la sua definizione organizzativa, ma già il suo superamento con il ritorno di Cristo (parusìa) ritenuto imminente.
In realtà se frughiamo nelle pagine neotestamentarie troviamo molteplici modelli di governo ecclesiastico. Quello con i dodici apostoli e i settanta discepoli, all’epoca in cui la viva voce di Gesù riecheggiava. Poi il modello congregazionalista secondo il quale ogni comunità è autonoma del tutto e si elegge il suo (o i suoi) conduttore/i. Poi quello presbiteriano, quando le guide delle varie comunità periodicamente si incontrano per consultarsi, concordare una strategia comune di governo che però non privi le singole ‘cellule’ delle loro fondamentali prerogative. Poi ancòra quello episcopale, quando un ministro di più alto rango è incaricato di individuare chi debba presiedere un’assemblea (è, ad esempio, il caso di Tito a Creta, incaricato di far ciò dall’autore della lettera che gli fu diretta).
Quanto ai tempi moderni, si discute se per una denominazione evangelica sia il caso di registrarsi come associazione con atto pubblico, e poi se sia opportuno far richiesta di personalità giuridica o addirittura di intesa con lo Stato (secondo il noto art. 8 della nostra Costituzione). Sono tutte forme legittime e, se Paolo ai Romani disse bene, ci consentono in ogni caso di rispettare le autorità in carica. Sia ben chiaro che ciascuna di queste forme esige uno Statuto registrato che regoli nero su bianco il profilo e l’organizzazione della chiesa / associazione.
Dal canto mio, e in base all’esperienza non breve da me in più decenni vissuta, mi sento invece di affermare con assoluta certezza che la differenza non la fa la forma organizzativa, né lo Statuto: la differenza sta negli uomini! Io non propendo per l’episcopalismo, ma se al vertice dovesse esserci persona illuminata, guidata da Dio e colta, ben venga questa forma. Io sarei congregazionalista, ma se a capo della singola comunità troviamo il piccolo ‘boss’ di turno, arrogante e ignorantello, allora congregazionalista non lo sarei più. Così andrebbe bene la forma presbiteraiana, ma se c’insedia un gruppetto di potere che fa di testa sua e soffoca, allora viva l’episcopato o il congregazionalismo radicale.
Dunque la differenza la fanno le persone. E’ bello rispettare l’autorità quando questa è a sua volta rispettosa di noi, quando ci affascina per carisma spirituale e cultura solida, altrimenti ci troviamo di fronte a generali da operetta con le spade di cartone dipinto.
Buttiamola in politica così, forse, ci comprendiamo meglio: io sarei repubblicano, ma tra una repubblica che funziona male e una monarchia esemplare scelgo quest’ultima.
Niente scandalo, lo disse anche Aristotele, quando prese le distanze dal maestro Platone: Amicus Plato, sed magis amica veritas, cioè “Mi è amico Platone, ma ancor più lo è la verità”.
Giancarlo Rinaldi
Caro fratello e professor Giancarlo Rinaldi è la prima volta in 35 anni di cristianesimo vissuto con impegno sincero che ho letto qualcosa di diverso dalle solite cose, riguardo il tema del governo della chiesa..ed anche se propendo più per un governo di tipo apostolico ( per intenderci quello in cui governano tutti ma proprio tutti i ministeri) ho comunque apprezzato come hai trattato la questione. Infatti molto dipende dalla qualità delle persone preposte! Grazie per questo tuo contributo e che Dio continui a benedirti!
Caro Prof Rinaldi, rispondo, partecipando a questo blog, in quanto l’argomento è di mio interesse. Bella è la tua tesi e anche ben esposta(non è una novità- scrive bene ). Per quanto mi riguarda, scopro subito le mie carte, credo che la miglior forma di governo della chiesa sia quella congregazionalista. Certamente non è la forma della chiesa che le dà valore ma sono le persone che servono al suo interno. Credo che sia importante allo stesso tempo sottolineare che scegliere una forma di governo rispetto ad un’altra risponde ad un’idea specifica che si ha del corpo di Cristo, la scelta è una questione teologica. Sono nato spiritualmente in seno delle ADI e cresciuto nelle chiese libere. Dopo un primo impatto con una forma di governo congregazionalista sono passato quasi subito a vedere gestita la chiesa in modo presbiteriano. In quei tempi coinvolgere i membri di chiesa nelle singole scelte significava gestire la chiesa in modo democratico mancando in questo modo il bersaglio. Ho avuto modo di sentire predicatori affermare che il governo della chiesa deve essere teocratico e di conseguenza le direttive dovevano arrivare da Dio sui ministri che a loro volta dovevano trasmetterle al gregge. Così predicavano e così ho creduto per molti anni. Con il passare del tempo ho compreso che non era giusto etichettare le chiese congregazionalista come democratiche , credo che siano teocratiche anche loro forse il distinguo potrà essere invece che teocratiche dall’alto lo saranno dal basso. Per chiudere vorrei fare 2 domanda provocatorie: nelle nostre chiese la scelta dei diaconi a chi è affidata? E nella chiesa primitiva?